Percepire la Naspi dopo aver dato le dimissioni: ecco quando è possibile

La perdita del lavoro per poter percepire la Naspi deve essere involontaria, ma a volte si può andare in disoccupazione anche dando le dimissioni.

Naspi, come si legge sul portale ufficiale dell’Inps, è l’acronimo di Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego. In termini meno tecnici, si tratta dell’indennità di disoccupazione Inps, quella che l’Istituto eroga a chi perde involontariamente il proprio lavoro. Involontariamente significa che la perdita del posto di lavoro, non deve essere di volontà del lavoratore, cioè non deve essere stato lui a lasciare il lavoro ma deve essere stato il datore di lavoro, per una qualsiasi motivazione indipendente dal lavoratore.

Fatta questa debita premessa, significa che per le dimissioni, cioè quando il lavoratore comunica al proprio datore di lavoro di voler unilateralmente interrompere il rapporto di lavoro, la Naspi non è fruibile. Ma non sempre è così, perché esistono casi in cui anche il lavoratore dimissionario può comunque percepire la Naspi.

Naspi e dimissioni, quando va bene

La Naspi è una indennità mensile di disoccupazione, istituita dall’articolo 1 del decreto legislativo n° 22 del 4 marzo 2015, e a decorrere dal 1° maggio 2015 è l’unica indennità per disoccupati Inps, destinata ai lavoratori dipendenti (ad esclusione dei collaboratori e dei lavoratori agricoli). Quando l’azienda per cui si lavora chiude, oppure quando il datore di lavoro non ha più bisogno di un lavoratore, l’Inps copre questa mancanza di reddito del lavoratore, erogando l’indennità chiamata appunto, Naspi.

Può capitare però che sia il lavoratore a decidere di non voler più lavorare per una azienda. I motivi possono essere molteplici. L’aver trovato un lavoro migliore non presenta problemi relativi alla Naspi, in quanto un lavoratore che lascia un lavoro per un altro, non ha bisogno di Naspi. Diverso il caso in cui un lavoratore di fatto si vede costretto a presentare le proprie dimissioni perché il datore di lavoro non paga puntualmente gli stipendi, le condizioni di lavoro sono diventate insostenibili e così via. In questi casi si entra nel settore di quelle che si chiamano dimissioni per giusta causa.

Dal momento che la Naspi nasce proprio con lo scopo di tutelare chi resta senza lavoro non per propria colpa, le dimissioni per giusta causa danno lo stesso diritto alla disoccupazione indennizzata Inps. Chi si dimette non ha diritto alla disoccupazione, a meno che tali dimissioni siano state date per giusta causa.

Ha diritto alla Naspi chi si dimette perché subisce vessazioni, chi è soggetto a mobbing sul luogo di lavoro, chi subisce azioni discriminatorie, chi non ottiene promozioni e aumenti quando invece sono riconosciuti a tutti gli altri dipendenti a parità di condizioni. Le tipologie di situazioni che possono dare luogo alle dimissioni per giusta causa sono molteplici. Si va dal mancato pagamento dello stipendio, al mancato conguaglio fiscale, dal mancato versamento delle competenze spettanti con lo stipendio, alla mancata fruizione di alcuni diritti del lavoratore, ferie, permessi o riposi.

Come dare le dimissioni per giusta causa senza perdere la Naspi

Da qualche tempo, il lavoratore dipendente che si licenzia è tenuto a presentare le dimissioni online. Ed è proprio nella procedura telematica che si andrà ad indicare come motivazione delle dimissioni, quelle per giusta causa. Tra l’altro, nel modulo telematico di dimissioni, c’è anche l’area “note”, dove il lavoratore potrà entrare nello specifico illustrando quali sono le cause che lo hanno spinto a licenziarsi.

Nel momento in cui si va a presentare la domanda all’Inps per il sussidio di disoccupazione, occorrerà anche li ed anche in quest’altra procedura telematica prevista, cioè quella per inoltrare l’istanza all’Inps, il fatto che la perdita del lavoro sia per giusta causa. In questi casi l’Istituto previdenziale può però avviare i controlli per verificare se davvero la giusta causa addotta dal lavoratore sia reale o meno.