Differenze di stipendio: quando il datore di lavoro è condannato a pagare

Oltre alle differenze di retribuzione, il datore di lavoro deve anche quelle previdenziali.

Quando il datore di lavoro paga uno stipendio inferiore al dovuto, o fa svolgere al lavoratore mansioni superiori e più pesanti rispetto all’inquadramento, o lo tiene al lavoro per più ore rispetto a quanto sottoscritto nel contratto, compie illeciti.

E sono situazioni che danno diritto al lavoratore ad essere risarcito. Il dipendente infatti ha tutto il diritto di ricorrere in tribunale. La frequenza di queste situazioni nel mondo del lavoro nostrano, va di pari passo con la frequenza delle condanne che i giudici applicano ai datori di lavoro. E le condanne spesso vanno oltre le semplici differenze retributive, perché un datore di lavoro condannato, deve pagare anche i contributi previdenziali mancanti.

Differenze di stipendio, come fare?

Un datore di lavoro è obbligato a retribuire il proprio lavoratore subordinato in base al CCNL di categoria. Esistono i minimi contrattuali, al di sotto dei quali non si può scendere. Inoltre la legge stabilisce che il livello di inquadramento e l’assunzione devono essere commisurate alle mansioni che il lavoratore andrà a svolgere. Nei casi in cui queste condizioni non combaciano, il datore di lavoro commette irregolarità che danno diritto al lavoratore ad avviare azioni sindacali e legali. E 9 volte su 10 i giudici condannano il datore di lavoro.

Assunti per 8 ore di lavoro al giorno, ma lavorare per 12 ore, senza corresponsione di straordinario, oppure lavorare in notturna senza alcuna somma aggiuntiva e senza che il lavoro notturno venga indicato sul contratto sono situazioni molto frequenti. Ma non mancano badanti assunte come colf, operai specializzati assunti come generici e così via.

Le differenze di contribuzione previdenziale

Quando si fa causa al datore di lavoro per differenze retributive o per stipendio inferiore a quello spettante occorre prestare attenzione. La materia «ricorso per differenze retributive» è vasta perché può riguardare una mensilità mai versata o una non corretta esecuzione del rapporto contrattuale, ma anche l’emersione del lavoro nero.

Con il ricorso contro il datore per le differenze retributive, a prescindere dalle motivazioni del ricorso e dalle fattispecie di irregolarità prima elencate, vanno richiesti anche i contributi previdenziali non versati o versato in meno. I contributi previdenziali infatti, vanno di pari passo con lo stipendio e pertanto, meno stipendio di paga al lavoratore, meno contributi si versano all’Inps a nome della stesso lavoratore.

I contributi previdenziali però devono essere versati dal lavoratore. Infatti l’orientamento dei giudici è quello di condannare il datore di lavoro al pagamento delle mancate retribuzioni, al lordo dei contributi previdenziali.
In pratica, il lavoratore può riuscire ad ottenere le differenze di stipendio, comprensive dei contributi non pagati dal suo datore di lavoro. Per mettere a posto la carriera lavorativa, deve essere il lavoratore a versare ciò che manca perché li ha percepiti come differenza di stipendio.

Ricorsi differenze retributive, come funzionano

Il lavoratore ha cinque anni di tempo a partire dalla data di interruzione del rapporto di lavoro per poter fare causa al datore di lavoro prima che i suoi diritti si prescrivano. L’onere della prova è a carico del lavoratore. Per il mancato pagamento dello stipendio però, basta la contestazione del lavoratore.

In questo caso è il datore di lavoro che deve trovare le prove contrarie per dimostrare la regolarità dei pagamenti di stipendio. Per le differenze retributive rispetto alle mansioni svolte, è il lavoratore che deve dimostrare di aver svolto compiti differenti rispetto a quelli indicati nel contratto di assunzione.