Contratto indeterminato: dopo quanti contratti a termine si ha il diritto all’indeterminato?

La legge italiana vieta ai datori di lavoro di rinnovare i contratti determinati per un numero eccessivo di volte. Scopriamo dopo quanti contratti a termine scatta finalmente l’indeterminato.

Spesso i datori di lavoro tendono ad assumere i propri dipendenti stipulando contratti a termine e, nel corso del tempo, li rinnovano numerose volte senza mai trasformarli nel tanto desiderato contratto indeterminato. Nell’ordinamento italiano è però affermato che, in generale, i datori di lavoro dovrebbero prediligere contratti di lavoro indeterminato quando assumono i dipendenti. I contratti determinati sono infatti considerati atipici e rendono la vita difficile ai lavoratori perché sono precari e non danno alcuna vera certezza e stabilità.

Proprio alla luce di ciò, la legge italiana vieta un’eccessiva reiterazione dei contratti determinati che quindi, a un certo punto, possono essere rinnovati solo se trasformati in indeterminati.

I limiti dei contratti a termine

Esistono alcuni limiti numerici per quanto riguarda il numero di contratti determinati all’interno di una singola azienda. La legge stabilisce che non possono essere assunti lavoratori a termine in misura maggiore rispetto al 20% del numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato in forza nel gennaio dell’anno di assunzione. Le piccole aziende che hanno solo cinque dipendenti possono ad esempio assumere un solo lavoratore temporaneo.

Ci sono anche alcuni casi in cui i contratti a tempo determinato risultano vietati dalla legge, ad esempio non si possono assumere lavoratori in questo modo per sostituire altri lavoratori che stanno esercitando il diritto di sciopero.

I contratti a termine non possono essere stipulati nemmeno nelle unità produttive che stanno sfruttando la cassa integrazione e in quelle dove, nei sei mesi precedenti, sono stati fatti dei licenziamenti collettivi. Infine, questo genere di contratto non può essere stipulato neanche dai datori di lavoro che non hanno fatto la valutazione dei rischi secondo la normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Quando scatta l’indeterminato?

Succede frequentemente che i datori di lavoro cerchino di rinnovare numerose volte i contratti a termine con lo stesso lavoratore, sempre senza mai assumerlo in maniera definitiva. Questo modo di comportarsi rende davvero instabile la vita dei lavoratori e per questo la legge italiana ha imposto due importanti limitazioni allo scopo di ridurre questo scorretto modus operandi.

Per prima cosa, l’ordinamento stabilisce l’esistenza di una durata massima dei contratti a termine. Uno stesso datore di lavoro può infatti assumere in modo determinato un lavoratore per al massimo ventiquattro mesi. Se i due anni di contratto a termine vengono superati per effetto di un unico contratto o per una successione di contratti, il contratto del lavoratore diventa automaticamente a tempo indeterminato.

In secondo luogo, esiste un numero massimo di proroghe. I datori di lavoro possono prorogare i rapporti a termine per un massimo di quattro volte nel corso di ventiquattro mesi, questo indipendentemente dal numero dei contratti. Nel momento in cui il numero di proroghe diventa superiore, il contratto diviene a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.

Si comprende quindi che non c’è un massimo di rinnovi dopo i quali un contratto determinato diventa indeterminato, il punto cruciale sta infatti nel numero totale di mesi di assunzione che, sommati, devono essere più di ventiquattro per garantire al lavoratore un impiego stabile. Esiste invece un numero massimo di proroghe perché dopo quattro di esse, il lavoratore verrà stabilizzato.