Pedemontana Veneta: e alla fine paga il contribuente. La storia di un disastro

Pedemontana Veneta: 300 milioni di reintroduzione addizionale regionale Irpef per salvare la faccia dell’Amministrazione, e non solo. La storia del disastro.

La storia della Pedemontana Veneta tra procedure farlocche, inadempienze normative, piano economico taroccato, contributo pubblico dal 15% al 40% e 300 milioni di reintroduzione addizionale regionale Irpef per salvare la faccia dell’Amministrazione.
Non scongiurato il pericolo di ricadute devastanti per il bilancio regionale. L’alibi del pareggio di bilancio come una conseguenza del Fiscal Compact.

La Pedemontana Veneta è un caso particolare: procedure in deroga con nomina di commissari straordinari, verifiche di ottemperanza a prescrizioni che rendono un progetto compatibile col territorio, un piano economico finanziario alterato da fantasiosi flussi di traffico, un’infrastruttura che doveva essere realizzata con soldi privati e che oggi è causa della reintroduzione dell’addizionale regionale Irpef.

Di seguito, la storia del disastrato iter della Pedemontana Veneta.

Una polemica caratterizza il dibattito sulla perdita di sovranità dell’Italia, intesa come “sequestro” della rappresentanza istituzionale nel decidere questioni politiche e amministrative. In verità la “sovranità” da qualche tempo è limitata dalla figura dei commissari straordinari e delle Autorità amministrative indipendenti.
I commissari straordinari sono irresponsabili costruttori di debito pubblico su investimenti infrastrutturali, a bassa o nulla utilità sociale mentre la Corte dei Conti pubblica relazioni riprese sui giornali, ma del tutto inutili.

Una Corte dei Conti che “seziona al nanometro” la spesa pubblica ma che assiste inerme al gonfiarsi dei costi come l’alta velocità, il passante di Mestre, il Mose, la Salerno/Reggio Calabria e, in ultima, la scandalosa vicenda della Pedemontana Veneta. La Pedemontana Veneta (APV) rappresenta l’esempio da manuale di come i Commissari straordinari producono danni alla finanza pubblica. Commissari straordinari “sblocca cantieri” (DL 67/1997), commissari straordinari introdotti dalla legge obiettivo (Dlgs 190/2002), commissari straordinari per le per le opere autostradali (Dlgs 163/2006), commissari straordinari connessi allo stato di emergenza esercitano attraverso ordinanze, deroghe alle disposizioni vigenti.

Un modello alternativo alla PA quello delle Autorità, essendo fuori dal circuito democratico–rappresentativo. Autorità titolari di funzioni normative, amministrative e paragiurisdizionali, in un unico soggetto pubblico. L’ANAC, una Autorità con funzioni di prevenzione, vigilanza, regolazione e sanzione negli ambiti di trasparenza, lotta alla corruzione e contratti pubblici.

Il legislatore nel nuovo Codice sugli Appalti non ha dato il meglio di sé. Il Governo attraverso un “decreto correttivo” ha modificato ben 84 articoli del codice, che si sommano alle 182 correzioni apportate nel 2016. Il caso Pedemontana Veneta è da manuale: opere pubbliche care al lobbismo “politico-finanziario-criminogeno”.

L’APV, un’infrastruttura con procedure di approvazioni che spaziano dall’annuncio di emergenza ambientale, che giustifica la nomina di un commissario straordinario, all’emergenza Commissario che, in deroga alle norme, approva il progetto definitivo e modifica una convenzione col concessionario determinando un rischio per il bilancio regionale di 19 miliardi di euro.

Una “superstrada a pedaggio” che rappresenta il modello del disastro regolamentare, progettuale e lobbystico realizzato in numerose infrastrutture a finanziamento pubblico o in partenariato. La Pedemontana Veneta ha un costo che è variato dagli 895 milioni di euro iniziali ai 2,258 miliardi di oggi. Procedure accelerate dichiarando un’emergenza da traffico in sole due Regioni per giustificare la nomina di un commissario straordinario. Approva un progetto definitivo autonomamente senza la vincolante procedura della verifica di ottemperanza alle prescrizioni emesse dalla Commissione speciale del Ministero dell’Ambiente e che rende compatibile il progetto preliminare in termini di sostenibilità ambientale. Verifica che rappresenta il rispetto dei principi di prevenzione, precauzione e integrazione dei Trattati UE e trasferiti nel Codice Ambiente.

Anche oggi nessun rilievo su questo aspetto sostanziale che rende illegale il procedimento. Un concessionario che non trova i soldi di finanziamento per la parte residua rispetto al contributo pubblico cresciuto negli anni per la semplice, evidente ragione denunciata dalla Corte dei Conti, dalle verifiche della Bei, della Cassa Depositi e Prestiti che i flussi di traffico sono inverosimili, pompati e quindi i ricavi scritti nel piano economico finanziario mere poste fittizie.

Si arriva in tal modo all’impasse con territori sventrati, traffico sconvolto nei territori connessi ai cantieri, un avanzamento lavori al 20%, erogazione di indennità di esproprio al 12%. La Giunta regionale è impermeabile agli allarmi della Corte dei Conti, ai numerosi pronunciamenti dei Tar e infine del Consiglio di Stato con sentenza n. 3944/2009 in cui si rilevava l’inidoneità del bando di gara a lasciare spazio alle valutazioni economiche.

Parimenti, si rilevano i clamorosi limiti del DIPE che è l’organo che dovrebbe verificare la congruenza dei piani finanziari connessi a progetti approvati dal Cipe. Singolare e ad alto impatto di marketing le slide proiettate in Consiglio Regionale Veneto per “salvare” nella migliore delle ipotesi la faccia di una gestione di appalto disastrosa, a elevato sperpero di danaro pubblico e senza il coraggio di modificare il progetto per renderlo sostenibile per le finanze pubbliche. L’uovo di Colombo sarebbe un’addizionale regionale di scopo che ogni anno produce gettito per 300 milioni di euro, che si sommano al contributo pubblico pari a 614 milioni di euro per un’infrastruttura che doveva essere a carico prevalente dei privati.

Altre considerazioni riguardano il costo di gestione e manutenzione, le fantasticherie sui flussi di traffico e la bufala che il ripristino dell’addizionale è conseguenza del “Fiscal Compact”. Comunemente accettata e prevalentemente verificata che per mantenere efficiente un esercizio, per l’infrastruttura viaria le spese di gestione e manutenzione nel giro di 30 anni sono pari al costo di realizzazione.

Valore-costo Pedemontana Veneta comprensivo di manutenzione e gestione (30 anni) è pari a 4,516 miliardi che, considerando la concessione a 39 anni, sfonda abbondantemente i 5 miliardi di euro. Un tale costo che veniva remunerato nel vecchio PEF con 18,8 miliardi e nel nuovo con 12,3 miliardi (teorici) costituiti da un canone di disponibilità erogato dalla Regione, che è frutto di un terzo atto modificativo della convenzione attuativa della concessione. Un canone di disponibilità che scarica sulla Regione la differenza tra i ricavi da traffico stimato e quello reale. Inoltre il concessionario costituito da una società italiana e una spagnola dovrà emettere un project bond da 1,150 miliardi. Il canone è da definirsi ogni mese e dipende dalle stime di traffico, palesemente fantasiose analizzando la slide n. 16 proiettata in Consiglio regionale Veneto.

Si analizzano i flussi di traffico dell’autostrada A4 (Serenissima) con le previsioni sulla Pedemontana (SPV) arrivando alla conclusione assurda che il traffico sull’A4 sia inferiore a quello sull’APV (2,8 volte il traffico rispetto al 1977 su A4 e 3,8 nella simulazione su APV al 2040). Un dato destituito di qualsiasi fondamento.

Infine, le difficoltà scaricate dal Presidente della Regione sul Fiscal Compact che in verità sta operando in Italia solo attraverso il mai rispettato pareggio strutturale di bilancio. Pareggio messo in Costituzione e approvato con 40 voti favorevoli e 2 astenuti dai parlamentari del partito del governatore del Veneto. Un’approvazione che ha modificato non solo l’art. 81 ma il 97 “Le pubbliche amministrazioni (..), assicurano l’equilibrio dei bilanci (..)”, 119 “..(..) rispetto equilibrio di bilancio..(..)”. Questo terzo atto modificativo fa riferimento al vecchio codice appalti abrogato (art. 217 comma 1 dlgs 50/2016) mentre le modifiche apportate rapportate all’art. 175 del nuovo codice dovrebbero indurre la Regione a indire una nuova gara.