Pensioni 2022, regole diverse per statali e autonomi rispetto ai privati: cosa cambia

Senza la quota 100 sulle pensioni ad essere penalizzati saranno i lavoratori pubblici e autonomi mentre per i dipendenti privati alcuni scivoli resteranno in funzione.

Si può dire tutto e il contrario di tutto sulle pensioni. Si può dire che torna la legge Fornero, che le pensioni si allontanano e che c’è lo scalone di 5 anni, ma questo non vale per tutti.

Infatti tra normative già in vigore e ipotesi di nuove misure, chi rischia davvero di essere terribilmente penalizzato dalla fine della quota 100 sono statali e lavoratori autonomi.

Pensioni e lavoro gravoso, si ragiona sempre su questa via

Una commissione creata ad hoc fin dal 2019 ha lavorato sulla lista dei lavori gravosi al fine di allargarla a più categorie. Basandosi sull’incidenza delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro delle statistiche Inail, e naturalmente sulla stima di vita dei lavoratori per settore di impiego, la commissione ha prodotto una graduatoria.

Si tratta di una classifica di attività lavorative stilata in ordine di pesantezza dell’attività. E da lì che probabilmente si andrà a pescare per allargare la possibilità di pensionanento anticipato a più lavoratori dal 2022.

In assenza di quota 100, la cui sperimentazione termina il 31 dicembre prossimo, la cura individuata sarebbe questa. Ampliamento dell’Ape sociale a più attività gravose o nuove misure, magari una nuova quota 100, differenziata per logorio dell’attività lavorativa.

È vero, nella graduatoria rientrano le maestre e i maestri delle scuole elementari. E questo in materia di Ape sociale potrebbe equiparare la possibilità di Anticipo Pensionistico Sociale a questi lavoratori come già adesso accade per maestre di asilo ed educatori della scuola dell’infanzia.

Ma nell’universo del lavoro pubblico ci si ferma qua o quasi (c’è qualcuno che dice che anche i collaboratori scolastici rientrerebbero nella graduatoria). E sono proprio gli statali quelli che pagheranno dazio per la cessazione della quota 100.

Statali, dai vantaggi di quota 100 allo svantaggio delle ipotetiche novità 2022

Una delle analisi più approfondite sulla quota 100 ha sottolineato come l’identikit perfetto del potenziale beneficiario della quota 100 è stato il dipendente pubblico.

La quota 100 è una misura che ha consentito per tre anni il pensionamento a partire dai 62 anni di età con almeno 38 anni di contribuzione versata. Vuoi per l’età media dei dipendenti pubblici, piuttosto alta, oppure per la stabilità di impiego e per la continuità di assunzione, caratteristiche tipiche del Pubblico Impiego, fatto sta che la quota 100 è stata un toccasana per gli statali.

Ed è per questo che adesso, proprio sugli statali c’è il concreto rischio che si abbatta l’effetto dello scalone di 5 anni. Chi non è riuscito a completare i 38 anni di contribuzione al 31 dicembre prossimo, o chi non ha completato i 62 anni di età alla stessa data, adesso rischia di dover aspettare almeno 5 anni prima della quiescenza.

Anche chi è nato semplicemente qualche giorno dopo l’ingresso del 1960, che si ritrova ad avere la «sfortuna» di essere qualche giorno più giovane del collega nato sul finire del 1959.

Quest’ultimo infatti, grazie ai 62 anni compiuti nel 2021, è potuto uscire dal lavoro con quota 100, il collega dovrebbe attendere invece i 67 anni della pensione di vecchiaia o i 42,10 anni di contributi della pensione anticipata ordinaria.

Sempre che non vada pure peggio, magari per via dell’aspettativa di vita che potrebbe innalzare le soglie di pensione anticipata e di vecchiaia nei prossimi anni.

Lo scivolo per i privati, ma per gli autonomi e gli statali niente

Va sottolineato poi che nel settore privato si va sempre più potenziando il connubio tra lavoratori che aspirano alla pensione e aziende che hanno interesse a rinfrescare o ridurre l’organico dipendenti.

E così che sono nati scivoli pensionistico come l’isopensione o come i nuovi contratti di espansione. In pratica, misure che il sistema offre a lavoratori e aziende per venire incontro alle reciproche esigenze.

Con accordi tra le parti, questi scivoli permettono ad entrambi di centrare i rispettivi obbiettivi. Il pensionato riesce ad ottenere un assegno di prepensionamento, che lo accompagna alla maturazione dei requisiti per la pensione vera e propria.

L’azienda riesce a svecchiare il parco dipendenti, magari dotandosi di nuova forza lavoro, più adatta alle novità tecnologiche e alle esigenze aziendali.

In termini di uscita, si parte dai 62 anni come per quota 100, con i nuovi contratti di espansione, o addirittura prima con l’isopensione (per lavoratori che si trovano anche a 7 anni dalla quiescenza ordinaria).

Assegni ai lavoratori, di cui si fa carico l’azienda, ma sfruttando alcune agevolazioni come lo sgravio della quota Naspi spettante al lavoratore se si utilizzano i contratti di espansione.

Misure che prevedono accordi tra azienda, lavoratori e sindacati. E devono essere in linea con i dettami dello Stato, perché per esempio alle aziende viene imposto un piano di nuove assunzioni, ma pure in questo caso, vantaggioso.

Tipico esempio il 3x1 del contratto di espansione, dove ogni tre pensionati, l’azienda deve prevedere in neo assunto.

Resta il fatto che nel settore privato alcuni scivoli sono in funzione, anche se assolutamente particolari e con tante zone d’ombra intorno. Vano ricordati per esempio, anche gli assegni straordinari, i fondi esuberi di banche e assicurazioni e quelli di diversi altri settori industriali. Per statali ed autonomi niente di niente.