Direttiva Ue salario minimo: cos’è e cosa cambia per l’Italia
Le assenze per malattia di un lavoratore sono tutelate dalla normativa vigente in maniera ben precisa. La legge tutela il lavoratore in malattia, ma prevede norme che vengono incontro anche alle esigenze del datore di lavoro. Un pacchetto normativo quindi, votato a dare equilibrio ad una delle fattispecie di situazioni più diffuse in materia di rapporti di lavoro. Vista l’importanza di questa particolare situazione lavorativa che spesso si viene a creare in ogni campo ed in ogni settore, occorre fare luce su quello che è la malattia del lavoratore, le assenze, il periodo di comporto e il diritto alla conservazione del posto di lavoro per il dipendente.
Malattia del lavoratore, cos’è?
Tra i pilastri della nostra Costituzione c’è anche il diritto alla salute, un diritto imprescindibile che riguarda anche i lavoratori. In questo senso opera l’articolo 2110 del Codice Civile che recita testualmente come “in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi, dagli usi o secondo equità.”
In parole povere il lavoratore che per uno dei motivi previsti dalla normativa vigente si assenta dal posto del lavoro, una volta espletati gli adempimenti necessari ed una volta assecondate tutte le linee guida dei vari Ccnl di categoria, ha diritto ad una corresponsione sotto forma di indennità o di retribuzione, ma anche alla conservazione del posto di lavoro per un determinato periodo di tempo stabilito dalle normative.
Quindi il lavoratore che per esempio, si assente dal lavoro per malattia, oltre a conservare il diritto a percepire una retribuzione stabilita dai contratti collettivi di settore, in parte a carico dell’Inps ed in parte a carico del datore di lavoro, anche se viene sostituito da un altro lavoratore in funzione delle esigenze aziendali, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Il lavoratore in malattia, se non sopraggiungono altre situazioni contingenti che vanno fuori dal perimetro di applicazione delle norme vigenti, può essere sostituito, ma non può in nessun caso essere licenziato. Naturalmente per tutelare il diritto del datore di lavoro, questo periodo che possiamo definire di “immunità da licenziamento” è delimitato dalla legge.
Il periodo di comporto, cos’è?
Il periodo massimo di assenza per malattia non esiste dal punto di vista patologico, cioè non esiste un periodo massimo di malattia che un lavoratore può richiedere perché collegato strettamente alla tipologia di patologia che lo stesso ha contratto. Il periodo massimo di malattia di cui si sente parlare è relativo al periodo di comporto.
Si tratta del periodo di assenza massima che la normativa vigente consente al lavoratore e nel quale questo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Il periodo di comporto è un istituto che spesso ha chiamato la giurisprudenza ad intervenire.
Sono numerose le sentenze che di fatto hanno corretto la normativa vigente e fugato dubbi di interpretazione.
In linea generale, il lavoratore durante lo stato di malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, ma si tratta di un diritto che non è illimitato nel tempo, ma che è circoscritto al cosiddetto periodo di comporto. E pertanto, un datore di lavoro che licenzia il lavoratore prima della scadenza del periodo di comporto, rende nullo il licenziamento.
È altresì vero che il datore di lavoro può licenziare il lavoratore se questo si rende responsabile di particolari comportamenti, cioè se sopraggiunge qualsiasi motivazione a cui il datore di lavoro può collegare il licenziamento per giusta causa.
Durante il periodo di comporto un lavoratore può essere licenziato anche per cessazione totale dell’attività dell’impresa, o nel caso di malattia irreversibile, cioè quella malattia talmente grave da rendere certo il mancato rientro del lavoratore nella sua postazione di lavoro.
Conservazione del posto di lavoro, per quanto tempo
Il periodo di comporto pertanto, è il periodo di tempo nel quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Questo in linea di massima è fissato in 6 mesi, cioè in 180 giorni.
Questo significa che il dipendente potrà essere licenziato soltanto al 181° giorno di malattia. Quando la malattia è continuativa, si parla di comporto secco, mentre quando la malattia è alternata da giornate di ritorno al lavoro, i 180 giorni si calcolano in un determinato lasso temporale, in genere l’anno solare, si parla di comporto per sommatoria.
Ricapitolando, il comporto secco si riferisce alla conservazione del posto di lavoro collegato ad una unica malattia di lunga durata. In questo caso, il rientro al lavoro anche per un brevissimo periodo, azzera il conteggio del calcolo per i giorni di conservazione del posto di lavoro.
In quello per sommatoria dei giorni di malattia, il termine di conservazione del posto di lavoro si riferisce a più malattie verificatesi in un arco di tempo.
Una volta scaduto il periodo di comporto con il lavoratore che non rientra al lavoro, il datore di lavoro può procedere al licenziamento, usando come motivazione soltanto il superamento del periodo di comporto. Il periodo di comporto in genere è fissato in 180 giorni nella quasi generalità dei settori lavorativi e dei Ccnl di categoria.
Ma ci sono contratti collettivi che consentono al lavoratore di preservare il proprio posto di lavoro anche oltre il suddetto periodo di comporto. Infatti ci sono Ccnl che permettono al lavoratore in malattia, una volta superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, di chiedere una aspettativa non retribuita. In pratica il posto di lavoro verrebbe conservato anche durante il periodo di aspettativa senza stipendio e indennità. Solo alla fine di questo ulteriore periodo di salvaguardia del posto di lavoro, il datore di lavoro potrebbe procedere al licenziamento.
Alcuni casi particolari
Al termine del periodo di comporto e della aspettativa non retribuita, il lavoratore può salvare il proprio posto sfruttando le eventuali ferie maturate e non godute. Il datore di lavoro anche in questo caso non può negare questo diritto al lavoratore, a meno che non motivi il diniego alla concessione delle ferie con le opportune giustificazioni previste dalla legge.
Un caso particolare è quello di una malattia insorta per cause addebitabili al comportamento del datore di lavoro. Un tipico esempio può essere considerato il mobbing. In questo caso i giorni di assenza per malattia, che deriva da un particolare e illegale comportamento del datore di lavoro, non possono essere considerati per il periodo di comporto.
Resta in questi casi l’onere in capo al lavoratore, di dover provare il comportamento illecito del datore di lavoro, nonché il collegamento di questo comportamento con la sopraggiunta patologia che ha dato via alla malattia.
In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, al lavoratore spetta sempre l’indennità sostitutiva del preavviso, oltre naturalmente a tutti gli altri diritti lui spettanti come il Trattamento di fine rapporto.