In pensione con 20 anni di contributi: ecco tutte le possibilità

Quando si può andare in pensione con soli 20 anni di contributi? Non c’è solo la vecchiaia

Le pensioni e come fare per riuscire ad accedere al meritato riposo dopo anni di lavoro. L’argomento principale come ogni inizio di anno è sempre questo. Ogni legge di Bilancio, ogni pacchetto pensioni delle manovre finanziarie, ecco che gli italiani iniziano a cercare di capire come possono centrare la loro quiescenza.

È 67 anni l’età anagrafica principale per le pensioni, a tal punto che di chiama età pensionabile. È fissata invece a 20 anni la soglia minima di contributi previdenziali che occorre aver maturato come base per la pensione. E sono diverse le possibilità di lasciare il lavoro una volta completata la carriera minima, e non sempre è necessario raggiungere i 67 anni di età.

La pensione di vecchiaia ordinaria

La misura pilastro del sistema previdenziale resta anche per il 2022, la pensione di vecchiaia ordinaria. Parliamo dello strumento che permette di accedere alla quiescenza una volta raggiunta l’età pensionabile e la soglia minima di contribuzione previdenziale necessaria. In altri termini, parliamo della misura che consente il pensionamento al raggiungimento di 67 anni di età e contestualmente, al completamento di almeno 20 anni di contributi versati.

E valgono i contributi a qualsiasi titolo. Sulla misura anche nel 2022 non ci sono stati incrementi per via delle aspettative di vita. Non ci sono differenze particolari tra uomini e donne. Inoltre il calcolo della prestazione è classico, ovvero con il sistema misto se esistono contributi antecedenti il 1996.

Il sistema contributivo e chi sono i contributivi puri

La data del primo gennaio 1996 è tra le più importanti da tenere a mente. Si tratta della data che segna l’ingresso del sistema contributivo. In pratica, per via della riforma delle pensioni di Lanfranco Dini, dal primo gennaio 1996 cambiò radicalmente il sistema di calcolo delle pensioni. Si passò da un calcolo retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite dai lavoratori, ad uno contributivo, basato sull’accumulo dei contributi.

È il montante dei contributi a fare la differenza in questo senso, perché può dare diritto ad una pensione anticipata o a una pensione nettamente posticipata nel tempo. Chi ha iniziato la carriera dopo il 31 dicembre 1995 e quindi ha il primo contributo a qualsiasi titolo versato dal 1996 in poi, viene chiamato contributivo puro. La sua pensione sarà calcolata interamente col sistema contributivo e quindi penalizzata in termini di importo rispetto ad una calcolata con il sistema misto, un po’ retributiva ed un po’ contributiva.

Con 20 anni di contributi pure a 64 anni, ma solo per alcuni contribuenti

Va ricordato che per chi ha almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, la pensione viene calcolata col sistema misto e con applicazione del favorevole calcolo retributivo fino al 2011. Per chi invece ha carriera antecedente il 1996, più corta, calcolo retributivo fino al 31 dicembre 1995. Come dicevamo, chi non ha versamenti prima dell’entrata in vigore della riforma Dini, calcolo solo contributivo.

Ma a determinate condizioni, questo è un vantaggio, non in termini di assegno come già spiegato, ma in termini di uscita anticipata. Ai soli contributivi puri si applica la pensione anticipata contributiva. Una misura che consente l’uscita con 64 anni di età e con 20 anni di contributi. Ma occorre che l’assegno, calcolato col sistema contributivo, sia pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, cioè nell’ordine di circa 1.290 euro al mese.

Se non si matura questo importo minimo della pensione o non si raggiungono i 20 anni di contribuzione minima versata, occorrerà aspettare i 71 anni di età per la pensione di vecchiaia per i contributivi puri (o i 67 anni con 20 di contributi della pensione di vecchiaia ordinaria). A quella età viene meno il limite di assegno pensionistico utile alle quiescenze e bastano 5 anni di versamenti.