Sindaca e Ministra, perché utilizzare il femminile NON è sbagliato

Sindaca, deputata, ministra: l’utilizzo del femminile per i titoli professionali e istituzionali è ancora molto discusso. Ecco l’ampio dibattito sul tema.

È corretto dire sindaca o ministra? La parità di genere tra uomo e donna deve essere espressa anche attraverso il linguaggio? In molti pensano di sì. Ecco perché negli ultimi anni hanno iniziato a prendere piede le forme declinate al femminile di vari titoli professionali o istituzionali, primi fra tutti i già citati sindaca, ministra o deputata, ma anche ingegnera, chirurga, avvocata.

Il dibattito sul tema della parità di genere linguistica è divenuto molto vivace negli ultimi anni, con numerose personalità e istituzioni che hanno preso posizione a favore o contro l’utilizzo di questi «nuovi» termini. In particolare, lo scorso anno l’avvenuta elezione di Virginia Raggi, la prima donna alla guida del Campidoglio, e della collega Chiara Appendino a Torino, ha risollevato la questione della correttezza o meno dell’uso della parola «sindaca». Questione che ha procurato un certo imbarazzo e anche difficoltà per numerosi giornalisti, indecisi su quale forma utilizzare.

Ecco allora alcuni chiarimenti riguardo la correttezza dell’utilizzo dei termini sindaca o ministra e sull’acceso dibattito sull’argomento.

Sindaca e Ministra: per Accademia della Crusca è naturale evoluzione

Da anni ormai il problema di una rappresentazione coerente e rispettosa della donna attraverso il linguaggio è argomento di discussione anche in ambito accademico. È stato infatti evidenziato che ancora oggi, invece di utilizzare la forma femminile per i titoli istituzionali o professionali, la donna viene spesso inclusa all’interno del genere grammaticale maschile della professione che svolge.

L’Accademia della Crusca, organo ufficiale della lingua italiana, si è più volte espressa in favore dell’utilizzo delle forme femminili di questi termini, sottolineando la necessità di un aggiornamento della lingua affinché questa non diventi uno strumento di discriminazione sessista. Il presidente dell’Accademia, Claudio Marazzini ha spiegato che

"I nomi femminili ministra, sindaca (quest’ultimo favorito nel suo innegabile successo dalle recenti elezioni di Roma e Torino) non dipendono dalla grammatica, che accetta sia il maschile tradizionale sia il femminile innovativo, ma da una battaglia ideologica trasportata nella lingua dalle donne (o da alcune di esse) quando conquistano nuovi spazi in politica e nel mondo del lavoro".

Il fatto che siano sempre di più le donne a rivestire ruoli istituzionali importanti è una cosa relativamente nuova e la società fa ancora fatica ad adattarsi anche linguisticamente a questa situazione. Parole come cuoca, cameriera, maestra o infermiera vengono utilizzate senza nessuna esitazione da chiunque padroneggi la lingua italiana, a dimostrazione che le resistenze all’uso di sindaca o ministra non hanno motivazioni linguistiche ma semplicemente culturali.

La correttezza dal punto di vista grammaticale del termine sindaca è spiegato con chiarezza anche sul sito Treccani.it, dove si legge

"Chi scrive sindaca adopera con efficacia le risorse flessive messe tranquillamente a disposizione dalla nostra lingua: sindaco/sindaca, avvocato/avvocata, postino/postina, ecc. seguono la normale alternanza nominale di genere maschile/femminile, espressa attraverso le uscite -o e -a".

Parità di genere linguistica: la battaglia della presidente Boldrini

Una delle maggiori sostenitrici della necessità di utilizzare la declinazione femminile è da diversi anni la presidente della Camera Laura Boldrini, che nel 2015 ha anche inviato una lettera a tutti i deputati invitandoli a rispettare la parità di genere, evitando quindi di riferirsi a deputate e ministre donne utilizzando i termini al maschile.

Di posizione opposta rispetto alla Boldrini è, invece, l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. L’ex capo di Stato, durante i ringraziamenti per il premio De Sanctis per la saggistica ricevuto a Roma a dicembre 2016, alla presenza della stessa Boldrini, si è rivolto a Valeria Fedeli utilizzando il maschile «ministro», asserendo che

"Valeria Fedeli non si dorrà se io insisto in una licenza che mi sono preso da molto tempo, quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell’orribile appellativo di ministra o dell’abominevole appellativo di sindaca".

In tutta risposta, Valeria Fedeli ha però dichiarato di voler essere chiamata Ministra e non Ministro, così come Chiara Appendino da Torino ha spiegato di preferire l’appellativo sindaca. Di opinione opposta, invece, la sua collega Virginia Raggi.
Lo scorso giugno, però, la commissione Pari Opportunità dell’Associazione Stampa Romana ha pubblicato un appello ufficiale rivolto a tutti i professionisti dell’informazione, nel quale la presidente Arianna Voto ha chiesto che

"Per la corretta e paritaria rappresentazione della donna attraverso i mezzi di comunicazione, invitiamo le colleghe e i colleghi ad adottare un linguaggio non sessista, a partire dal declinare al femminile la sindaca Virginia Raggi. Sarebbe questo il segnale di un riconoscimento della differenza come ricchezza e pluralismo culturale".

Parità di genere linguistica: la situazione nei Paesi europei

Anche negli altri Paesi europei l’avanzamento di carriera delle donne ha portato alla luce le stesse problematiche verificatesi in Italia in ambito linguistico.
In Francia, ad esempio, qualsiasi evoluzione della lingua in questo senso è stata frenata sul nascere dall’Académie française, da sempre estremamente conservatrice. Così, i francesi per rendere il femminile della parola ministro si limitano ad anteporre «Madame» alla forma maschile, ottenendo come risultato «Madame le Ministre» (corrispondente all’italiano Signora «la» Ministra).

In Germania era consuetudine aggiungere al termine maschile il suffisso femminile -in, ottenendo ad esempio dal vocabolo maschile anwalt (avvocato) il corrispondente femminile anwaltin (avvocata). Tuttavia, per i titoli accademici o istituzionali invece del suffisso veniva utilizzata la parola Frau (Signora) preposta al termine maschile. Nel momento dell’ascesa di Angela Merkel come nuovo Cancelliere tedesco i giornalisti si sono trovati di fronte all’enigma di quale forma fosse più adatta, ma la Merkel ha subito chiarito di voler essere chiamata «Frau Bundeskanzlerin» (Cancelliera), con il termine declinato al femminile quindi.