Stipendi in Italia troppo bassi? Ecco cosa dicono alcuni dati

Uno studio della Fondazione Di Vittorio Cgil pone a confronto le retribuzioni italiane con quelle degli altri paesi europei

Il reddito annuale lordo degli italiani è inferiore ai livelli pre-pandemia ed è nettamente al di sotto di quello degli altri grandi paesi europei. Il dato si evince da un interessante rapporto della Fondazione Di Vittorio Cgil.

Reddito degli italiani: andamento condizionato dalla pandemia

Il reddito di chi lavora in Italia negli ultimi anni ha avuto un andamento condizionato dall’evento epocale vissuto nell’ultimo biennio: la pandemia. Non a caso il compenso lordo era sceso fino a 27,9mila euro nel 2020 ed ha avuto una salita nel 2021 arrivando fino a 29,4mila euro. Il dato resta comunque inferiore rispetto a quello che era stato censito nel 2019, ultimo anno in cui non si era dovuto fare i conti con gli effetti del Covid.

Il confronto con gli altri paesi

I redditi degli italiani risultano essere comunque inferiori a quelli di altri paesi europei. La differenza è considerevole con la Germania che si assesta ad un dato pro capite pari a 44,5 mila euro lordi, mentre la Francia è sopra i 40.000. Rispettivamente 15.000 e oltre 10.000 più dell’Italia. La risalita, nel confronto con il 2020, vede l’Europa crescere in maniera più decisa in media rispetto al Bel Paese.

L’analisi nei dati, con riferimento al confronto tra il 2019 ed il 2021, rivela che anche la Spagna non è riuscita a recuperare i livelli di reddito che la contraddistinguevano prima della pandemia.

La distribuzione: 14,4 milioni al di sotto dei 26.000 euro

Più di un lavoratore dipendente su quattro, cioè 5,2 milioni, ha dichiarato meno di 10.000 euro e ben tre su quattro (14,4 milioni) redditi fino a 26.000 euro. Tutti sono quindi al di sotto del reddito annuale lordo medio. Il quadro fornito delle conclusioni è quello di un’Italia che ha visto crescere la discrepanza dei suoi redditi con quelli del resto d’Europa.

Un dato che è fortemente condizionato da due aspetti: uno è l’assenza di continuità negli impieghi e l’altro è la maggiore fetta di lavoratori con livelli di qualifica bassa. Tutto potrebbe essere letto come la criticità di un sistema che cerca di acquistare competitività abbassando i costi di produzione e facendo leva sulle compressioni dei compensi.

Redditi in Italia: resta la questione legata alla discontinuità occupazionale

Una questione che, come si legge nel report della Fondazione Di Vittorio, si aggiunge a quella della precarietà. Ad aprile del 2022 ci sono 3,2 milioni di lavoratori con un contratto a termine, un dato mai così alto dal 1977.

Dati che dovrebbero rappresentare un input per la creazione di posti di lavoro che garantiscano maggiore stabilità. Argomenti che tra l’altro si mischiano ad altri come ad esempio quelli della bassa natalità, con giovani sempre più restii a metter su famiglia considerate le difficoltà nel garantirsi stabilità economica.