Lavoratrici in gravidanza: non rinnovare il contratto è discriminazione

I datori di lavoro che non rinnovano il contratto a una lavoratrice in stato di gravidanza rischiano di essere condannati per discriminazione di genere.

Le donne lavoratrici che vengono licenziate o a cui non viene rinnovato il contratto perché sono in gravidanza possono ricorrere alla legge per fare giustizia. Questo tipo di comportamento del datore di lavoro è infatti scorretto in quanto si tratta di un comportamento discriminatorio.

Questo fatto è stato ribadito un’altra volta dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, con la sentenza numero n. 5476 del 26 febbraio 2021, ha spiegato che non rinnovare il contratto a una donna incinta significa in alcune occasioni fare una discriminazione basata sul sesso.

Lavoratrice in gravidanza e mancato rinnovo del contratto: la sentenza del 26 febbraio2021

I datori di lavoro che non rinnovano il contratto di lavoro a una lavoratrice in gravidanza possono andare incontro a problemi con la giustizia. Questo tipo di comportamento può rappresentare infatti una vera e propria discriminazione di genere. Questo è vero nell’eventualità in cui ad altri dipendenti della stessa azienda venga rinnovato il contratto esattamente alle stesse condizioni della donna che ha perso il lavoro durante la gravidanza.

Con la sentenza numero 5476 del 26 febbraio 2021, la Corte di Cassazione ha dimostrato che la situazione spiegata della ricorrente era un trattamento sfavorevole nei confronti degli altri dipendenti dell’azienda e il motivo di questo era dovuto esclusivamente al fatto che la ragazza era incinta. Per confermare quanto emerso, è stato fatto riferimento all’orientamento della Corte di Giustizia Europea che si era pronunciata in merito al problema già il 4 ottobre 2001.

La Corte di Giustizia Europea ha spiegato che «Qualora il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato sia motivato dallo stato di gravidanza della lavoratrice, esso costituisce una discriminazione diretta basata sul sesso».

Stando a quanto appena riportato, è chiaro che rifiutare di assumere o rinnovare il contratto a una donna in gravidanza risulta essere una discriminazione diretta basata sul sesso. Licenziare una lavoratrice con questa unica motivazione va a contrastare quanto indicato dalla normativa italiana in materia di licenziamento illegittimo, inoltre contrasta anche con quanto detto dagli 2, n.1, e 3, n.1 della direttiva 76/207.

Qual è la tutela per le donne lavoratrici in gravidanza?

In caso di licenziamento deciso per via di una discriminazione, la donna lavoratrice viene tutelata dalla legge. Ci sono delle norme chiamate «tutela reintegratoria piena» che prevedono determinati obblighi dei datori di lavoro che hanno licenziato ingiustamente. I dipendenti devono essere in questi casi reintegrati e gli deve essergli corrisposta un’indennità come risarcimento, inoltre devono essere versati anche i contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo di tempo in cui esso non ha lavorato.

Queste tutele sono contenute e specificate all’interno dello Statuto dei Lavoratori risalente al 1970 per quanto concerne i lavoratori assunti prima del 2015. I lavoratori assunti dopo tale anno devono fare riferimento invece a quanto scritto nel decreto attuativo del cd. Jobs Act che contiene le medesime tutele

Leggi anche: Madri lavoratrici: novità per il rientro a lavoro dopo gravidanza