Demografia e pensioni: l’unica soluzione è abolire la vecchiaia

Le pensioni in Italia e in Europa sono sostenibili? La demografia del vecchio continente dice di no, presto ci sarà un pensionato per ogni lavoratore.

Una delle frasi più comuni in merito alla questione previdenziale è che i giovani non avranno la pensione per via delle carriere intermittenti causate dal precariato. Ecco Amato sull’argomento [1]:

“Quando tanti giovani arriveranno alla pensione dopo uno slalom tra diversi lavori si troveranno con una pensione miserabile con cui non potranno vivere e si troveranno a dormire in auto.”

Questa curiosa leggenda metropolitana non ha molto fondamento. Il sistema previdenziale funziona grazie ai versamenti di chi lavora, mentre quelli versati durante la carriera lavorativa finiscono a chi è già in pensione. Quale che sia l’entità dei contributi versati non si avrà una pensione se non c’è una forza lavoro in grado di tenere in piedi il meccanismo. La sostenibilità finanziaria, allora, è un aspetto importante nell’immediato ma si dovrebbe tenere in maggiore conto l’aspetto demografico. Quest’ultimo aspetto deve essere considerato nel duplice aspetto della popolazione pensionata e quella lavorativa e non.

Partiamo dai pensionati. I pensionati sono 16,7 milioni [2] e questa è la distribuzione per coorte d’età (dati Istat):

Coorte d’etàNumero pensionati
50-54 340.504
55-59 793.941
60-64 2.465.576
65-69 2.751.616
70-74 2.835.722
75-79 2.374.560
80-84 1.908.406
85-89 1.177.092
90-94 417.749
95+ 132.275

Si può notare che la popolazione pensionata è relativamente giovane e che il ricambio naturale dettato dal triste mietitore è lontano dall’avverarsi. I pensionati ci sono e ci saranno. La domanda è se si potrà sfamarli.

Per rispondere al quesito passiamo alla demografia complessiva. Gli occupati sono calati poco al di sopra dei 22 milioni, ma negli anni felici hanno superato di poco i 23 milioni. Basta mettere in rapporto il numero dei pensionati con quello degli occupati per scoprire il carico di lavoro di chi paga le pensioni a chi è in pensione. La situazione non è destinata a migliorare. Attualmente il tasso di mortalità eccede quello di natalità e il numero di figli per donna è pari 1,42, un valore lontano dal 2,1 necessario per rendere stabile la popolazione nel tempo.

Un ulteriore aspetto negativo viene dall’invecchiamento della popolazione italiana. Tra il 2002 e il 2011 la coorte d’età 0-14 anni è calata dal 14,2% al 14,1% della popolazione complessiva, mentre la corte d’età 15-64 ha registrato un calo dal 67,1% al 65,4%. Gli unici ad aumentare sono stati gli over 65 passando dal 18,7% al 20,5%. Si stima che la componente della popolazione più anziana aumenterà fino al 2043 superando in quella data il 32%. Anche l’età media si sta spostando sempre più in là: nell’ultimo decennio è aumentata da 41,9 a 43,6 e si prevede che raggiungerà il suo picco massimo di 49,8 anni nel 2059 senza che, invece, si prospetti un aumento della popolazione residente. Si teme, anzi, una sua riduzione. L’indice di vecchiaia che rappresenta il rapporto percentuale fra gli over 65 e gli under 14 è passato da 131,7 a 145,7, mentre l’indice di dipendenza strutturale che misura il carico della popolazione non attiva su quella attiva è passato da 49,1 a 52,8. L’indice di ricambio della popolazione attiva, infine, che misura il rapporto fra la fascia della popolazione prossima alla pensione e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro è passato da un valore di poco superiore al 110% ad uno oscillante intorno al 130%.

Tirando le somme è ovvio che lo squilibrio demografico renda insostenibile il meccanismo previdenziale. Amato, allora, ha ragione? No, basta guardare l’attuale piramide demografica della popolazione [3]:

Più che una piramide è un fungo e si può notare che nei prossimi 10/20 anni una fetta consistente della popolazione accederà ai trattamenti previdenziali. La base, invece, è troppo esile per sostenere questo afflusso di persone. A dispetto di quanto si pensi, allora, a non avere le pensioni saranno gli attuali 50enni. E non si parla di un futuro remoto, ma del lasso di tempo occupato da una generazione nel futuro. Questa è la vera ragione delle continue riforme del sistema previdenziale degli ultimi 20 anni.
Un disastro per l’Italia? Sì, ma non solo. Anche gli altri paesi europei sono messi altrettanto male [4]. Nella UE il valore dei figli per donna è aumentato da 1,3 a 1,6 e potrebbe salire a 1,7, ma l’età media dovrebbe passare da 40,6 a 47,9 nel 2060. Nel dettaglio la popolazione 0-19 è pari al 21,3% del totale, quella 20-64 è pari al 61,3% e quella over 65 raggiunge il 17,4%. In futuro si prospetta che la popolazione over 65 raggiungerà il 30% nel 2060. Il rapporto fra gli over 65 e i 20-64enni, in pratica chi lavora e chi no, passerà dal 28,4% al 58,5%. Il rapporto fra gli under 19 e gli over 65 salirà da 63,2% a 95,5%. L’implicazione della cosa che è ci sarà un lavoratore per ogni pensionato. Ecco il grafico delle proiezioni demografiche:

Per questo problema in genere si prospettano due soluzioni: l’importazione di giovani dal terzo mondo e l’allungamento della vita lavorativa dettata sia dall’allungamento della vita sia dal miglioramento della qualità della vita. La prima soluzione è problematica perché l’immigrazione funziona benissimo nei libri di economia, ma è foriera di noie e guai per le società nella vita reale. In più è una risorsa che non è destinata a durare nel tempo. Davanti al quadro demografico di solito si invoca una sorta di pigrizia o addirittura egoismo delle donne, ma in realtà la situazione è dettata dallo sviluppo economico. Nelle società pre-industriali caratterizzate da elevata mortalità, l’elevata natalità è dettata sia dal ricambio generazionale sia dall’aiuto che può fornire sul lavoro il fanciullo. In una società post-industriale il fanciullo è un costo perché lo si deve formare a scuola e non può fornire un aiuto sul lavoro. In più il non più fanciullo entra tardi sule mercato del lavoro riducendo ulteriormente il tempo a disposizione per procreare. Quello che è accaduto nelle economie avanzate succederà anche in quelle emergenti non appena usciranno dallo stadio di sottosviluppo.

La seconda ipotesi si scontra con il fatto che un miglioramento della qualità della vita non equivale a ottenere le stesse capacità dei più giovani. L’Italia, ad esempio, è un paese dominato dagli anziani in tutti settori – politica, economia, società – e i risultati sono quelli che sono. L’allungamento indefinito dell’età lavorativa si scontrerà con l’inevitabile crollo della produttività e la resistenza al cambiamento o all’acquisizione di nuove competenze lavorative. Così facendo, però, caleranno le risorse da destinare alla spesa previdenziale.

Che fare? Rimane una sola possibilità: eliminare la vecchiaia. Quest’ultima è costosa, improduttiva e non desiderabile. Chi potrà mai preferire un corpo anziano ad uno giovane? Il movimento transumano è nato proprio per trascendere le limitazioni naturali del corpo umano abolendo la vecchiaia e la morte grazie alla tecnologia. Sulla cosa si può avere dei dubbi sulla fattibilità tecnica, ma non sulla desiderabilità. Sempre ammesso che non si preferisca la guerra civile e la fine della civiltà per come la conosciamo. Morale della favola? È che non ci sono alternative all’abolizione della vecchiaia entrando in un’epoca post morte e post vecchiaia.

[1] Cfr. http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1211384/Amato-preoccupato-per-i-giovani----Saranno-poveri--dormiranno-in-auto---e-lui-guadagna-11-mila-euro-al-mese.html.
[2] Cfr. http://www.istat.it/it/archivio/87850.
[3] Cfr. http://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2013/.
[4] Cfr. http://ec.europa.eu/social/keyDocuments.jsp?advSearchKey=demography&mode=advancedSubmit&langId=en&policyArea=750&subCategory=502&type=0&country=0&year=0. Demography report 2010.