Caos Province: ecco cosa ha prodotto la riforma Del Rio rimasta incompiuta

Le Province continuano ad offrire i servizi alla collettività, ma con meno personale e meno dotazioni dopo la riforma del governo PD.

Torna di attualità il problema Province, cioè quegli Enti pubblici che il governo PD con la riforma Del Rio voleva cancellare ma che dopo la bocciatura del referendum costituzionale che portò alle dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio, è palesemente rimasta incompiuta. Sul ripristino dell’elezione diretta si stanno scontrando i due partiti di maggioranza dell’attuale governo. I due leader di lega e M5S, Salvini e Di Maio hanno dato spazio in queste ore a diatribe a distanza, con Salvini e la Lega favorevoli al ripristino delle vecchie Province e Di Maio ed i suoi “grillini”, palesemente contrari.

Anche l’UPI, l’Unione Province Italiane ha preso parte alla nuova polemica, contradicendo Di Maio sulla questione delle poltrone che secondo il Ministro pentastellato, rappresenta la motivazione che spinge Salvini a chiedere il ripristino degli Enti. Sta di fatto che la riforma Del Rio ha prodotto quello che per tutti è un autentico caos, con Enti pubblici che dovevano essere abrogati e che continuano a stare in piedi ed a svolgere le funzioni precedenti con meno risorse e personale disponibile. Inoltre, in base alle autonomie regionali, ogni singola Regione d’Italia ha provveduto a riordinare le funzioni delle Province senza omogeneità tra territori. Per qualcuno un vero e proprio disastro che si abbatte sulla collettività perché molti dei servizi che le province continuano a fornire alla collettività sono di importanza capitale per i cittadini. Ma cosa è cambiato per questi Enti con la riforma Del Rio?

Numeri rilevanti

Un dossier dell’UPI riporta tutti i numeri di ciò che davvero è cambiato per le Province. Prima della riforma Del Rio oltre naturalmente ad essere in vigore l’elezione diretta dei consigli Provinciali, esistevano in Italia 107 Province. Adesso esistono 76 Province e 10 Città Metropolitane per una riforma che ha interessato le 86 Regioni italiane a statuto ordinario. Per le restanti Regioni a statuto speciale la riforma ha prodotto effetti differenti rispetto a quelle a statuto ordinario e soprattutto, ogni Regione ha provveduto a sostituire le Province a proprio modo. In Sardegna per esempio, dove esistevano 8 Province, oggi troviamo 4 Province ed una Città Metropolitana. In Sicilia addirittura, cambia il nome dei nuovi Enti, perché dalle sue 9 Province si è passati a 3 Città Metropolitane e 6 Liberi Consorzi. La disomogeneità continua con il Friuli Venezia Giulia, dove le 4 Province sono state sostituite da ben 18 Unità Territoriali. In pratica, le Province oggi si trovano in un autentico limbo normativo oltre che economico e giuridico. In totale le 107 Province ante-riforma avevano in dotazione 43.000 dipendenti e ne hanno perduti circa 16.000. Nello specifico, 2.564 sono andati in pensione, 5.505 sono stati assorbiti dai Centri per l’Impiego, 720 ricollocati in Ministeri e tribunali, mentre ben 7.185 sono stati ricollocati nelle Regioni.

Le funzioni sono le medesime

Questi cambiamenti anche numerici e di dimensioni organiche hanno risvolti evidenti sulle funzioni e sui servizi che le Province o come si chiamano oggi in alcune parti dello stivale, continuano ad offrire. La riforma ha fatto rimanere sul groppone delle Province la gestione dell’edilizia scolastica dalle scuole medie alle superiori nonché la gestione dei tratti stradali provinciali. Le stesse funzioni di prima e gli stessi servizi e cioè la responsabilità piena su 5.100 edifici scolastici e 130.000 Km di strade. Una mole di infrastrutture spesso vecchie e bisognose di continua assistenza da parte degli addetti come dimostra ll monitoraggio di ponti e viadotti avviato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a seguito della tragedia del ponte Morandi di Genova.

Se a questo si affiancano anche le altre funzioni, da quelle amministrative a quelle ambientali, evidente che la riduzione di organico non giova alle Province. La riforma inoltre ha causato anche il fatto che adesso, alcune Regioni hanno lasciato tutte queste funzioni alle Province come nel caso della Lombardia, mentre altre si sono fatte carico di tutti i compiti, cone la Toscana. I ripetuti interventi a rimpinguare i fondi disponibili per le Province da parte dei governi che si sono succeduti a quelli che hanno applicato i tagli (2014 e 2015) hanno dato ossigeno, ma non a sufficienza. In pratica, in base alle stime dell’UPI, i 250 milioni di euro che il governo Conte ha destinato alle Province per ogni anno dal 2019 al 2023, servirebbero a poco.