Quota 102 e flessibilità da 64 a 71 anni, ecco come funziona

La proposta di correggere la quota 100 inserendo la quota 102, come funziona?

Il sistema previdenziale italiano ha bisogno di una profonda riforma, questo ciò che pensano molti esperti previdenziali. Tra questi, anche Alberto Brambilla, presidente del centro Studi Itinerari previdenziali. Brambilla, sulle pagine del quotidiano «Il Corriere della Sera», ha prodotto una interessante analisi sulle problematiche del sistema e sui correttivi di cui necessita la previdenza sociale italiana. Nelle ultime settimane, due cose sembrano accomunare tutte le proposte. La prima è l’idea di superare quota 100 dal 2022, quando la misura non sarà più in vigore perché cessata.
La seconda invece, riguarda la necessità di dotare il sistema di una misura pensionistica flessibile, quanto più possibile aperta a tutti i lavoratori. La pensa così anche Alberto Brambilla, che nella sua analisi ha spiegato cosa occorrerebbe fare per inserire nel sistema, il criterio della flessibilità in uscita dal lavoro.

Pensione flessibile a quota 102

L’età, che molti indicano come quella più giusta per permettere ai lavoratori di poter andare in pensione è quella dei 64 anni. Anche il presidente di Itinerari previdenziali è sulla stessa lunghezza d’onda.
Il sistema previdenziale italiano sta vertendo sempre di più verso il contributivo. Infatti, secondo ciò che scrive Brambilla, dal 2022, il 95% dei potenziali nuovi pensionati, avrà la stragrande maggioranza della pensione calcolata con il sistema contributivo (circa il 70%). In prospettiva, dal 2036, inizieranno ad uscire i contributivi puri, quelli che hanno iniziato la loro carriera lavorativa dopo il 1995 e che riceveranno l’intera pensione liquidata con il metodo contributivo. Tra le anomalie del sistema previdenziale italiano c’è senza dubbio il fatto che, nonostante ormai sia in vigore il sistema contributivo, nel meccanismo manca la flessibilità. E questa è una situazione tipicamente italiana, perché tutti i Paesi industrializzati, che hanno un sistema di liquidazione delle Pensioni basato sui contributi versati dai lavoratori, hanno misure di uscita flessibili.
Ed un altro «unicum» italiano è il fatto che i requisiti per le pensioni siano collegate all’aumento della vita media della popolazione. Anche su questo Brambilla è piuttosto chiaro, perché sulle pensioni anticipate occorre mettere il freno agli scatti per le aspettative di vita, fissando il paletto ai vincoli di oggi, cioè a 42 anni e 10 mesi di contributi senza limiti di età (per le lavoratrici 41 anni e 10 mesi). Una volta fissato il limite per lasciare il lavoro per contribuzione, si deve prevedere una misura che consenta una uscita per età, ma a libera scelta del lavoratore. Per l’esperto, occorre una misura che permetta, a partire dai 64 anni di età, di poter scegliere quando lasciare il lavoro. In altri termini, con 64 anni di età e 38 di contributi (ma per Brambilla si potrebbe anche optare per 37 anni), si dovrebbe poter essere liberi di scegliere se uscire o meno dal lavoro.

Libertà di scelta

I 37 o 38 anni di contribuzione necessari, dovrebbero essere quasi tutti effettivi da lavoro, perché sarebbero ammessi nel calcolo, solo 3 anni figurativi. Solo i contributi volontari e le maternità sarebbero sempre utili al raggiungimento del requisito. Una pensione con una specie di quota 102, che premia il lavoro, ma calcolata interamente con il sistema contributivo. Questo ultimo passaggio è particolarmente importante, perché meno si lavora e meno si percepisce di pensione. Ecco perché con la soluzione quota 102, un lavoratore in base alle sue esigenze, potrà scegliere liberamente se continuare a lavorare o meno.

Restare al lavoro oltre i 66 anni con un superbonus

La misura proposta da Brambilla non prevede solo una età a partire dalla quale poter lasciare il lavoro. Oltre al requisito minimo, la proposta prevede anche una età massima, fino alla quale poter rimanere in servizio. Infatti, sempre all’insegna della flessibilità, la proposta prevede che un lavoratore, in base alle sue condizioni ed alle condizioni di lavoro, possa scegliere di restare in servizio fino a 71 anni di età. In parole povere, il dipendente che vorrà continuare a lavorare, se troverà una intesa con il datore di lavoro, potrà restare in servizio anche oltre i 67 anni che servono per la pensione di vecchiaia.
Flessibilità anche da questo punto di vista, perché sempre per via del sistema contributivo, più si lavoro e più si versano contributi e più si percepisce di pensione. Tra l’altro, nella proposta di Brambilla, restare in servizio oltre i 66 anni, potrebbe dare diritto al lavoratore di percepire una specie di superbonus contributivo. Nelle buste paghe dei lavoratori che resteranno in servizio fino a tarda età, potrebbe finire un bonus pari al 50% dei contributi netti dovuti ogni mese, cioè un importante aumento di stipendio mensile.