Microfovoltaico, la soluzione per alimentare frigorifero e televisione

Il microfotovoltaico può rappresentare una buona soluzione per sostenere i consumi domestici

Il recente sciopero ambientale organizzato a livello globale su impulso di Greta Thunberg, sembra aver riportato all’ordine del giorno la questione ecologica. La crisi climatica, infatti, è ormai dibattuta da decenni, senza però che sino ad ora si siano fatti veri e propri passi in avanti per risolverla. Anche perché troppo spesso sono i comportamenti individuali ad essere sbagliati e a riverberare le proprie conseguenze su un ambiente sempre più sotto attacco. Meglio quindi puntare ad assumerne di virtuosi, iniziando magari dal microfotovoltaico.

Fotovoltaico plug & play: di cosa si tratta?

Cos’è il microfotovoltaico? Detto anche fotovoltaico plug & play o plug in, è già molto impiegato in Svizzera e nei Paesi Bassi, ove ne funzionano quasi mezzo milione complessivamente. In pratica stiamo parlando di un impianto fotovoltaico di taglia “mini” e dotato di una potenza abbastanza ridotta. Perfetta però per l’alimentazione di elettrodomestici o di altri piccoli impianti presenti all’interno della nostra casa. Estremamente facile da installare provvede a scambiare energia mediante la connessione diretta a una normale presa di corrente.

Se in questi Paesi sono svariati soggetti a proporre il microfotovoltaico, tra cui uno dei più importanti è l’olandese Soladin, in Italia è One Way il punto di riferimento in tal senso. L’azienda faentina ha infatti dato vita ad un sistema per la micro generazione domestica in grado di produrre un massimo di 350kWh annui. Basato su un pannello pesante circa 25 chili che copre una superficie di 1,50 metri quadrati, il microfotovoltaico viene venduto al costo di circa 500 euro. Per cercare di capirne la convenienza, occorre sottolineare come esso sia in grado di far risparmiare tra i 50 e gli 80 euro all’anno.

Occorrono quindi tra i sette e i dieci anni prima di ammortizzarne il costo e iniziare a guadagnare. Tempi che possono essere dimezzati da chi abbia un reddito IRPEF: in questo caso, infatti, è possibile usufruire delle detrazioni statali al 50%. Il vantaggio per il bilancio familiare può essere rimandato nel tempo, ma quello per l’ambiente è immediato. Una constatazione da tenere in conto in un momento in cui torna di grande attualità la questione del surriscaldamento globale.

Come funziona il sistema

Il fotovoltaico plug & play assomiglia molto ad un sistema solare tradizionale. Il pannello è unico e solitamente viene posato su un tetto o anche su altre parti dell’edifico (come un balcone), a patto che non vada a ledere il decoro urbano. Al suo interno sono presenti un inverter teso alla trasformazione dell’energia, l’ apparato di protezione, un dispositivo di interfaccia e un cavo elettrico dotato di spina schuko.

La vera differenza con un impianto tradizionale, a parte quella dimensionale, è rappresentato dalla modalità di scambio con la rete. In questo caso avviene per mezzo di una presa monofase da 220 volt, senza che sia necessario intervenire per modificare il sistema elettrico o la sua estensione, a patto che sia presente una presa dedicata. Se è del tutto sicuro, è anche necessario che l’installazione di One Way avvenga sotto la responsabilità di elettricista.

Oltre che per alcuni elettrodomestici energivori presenti all’interno delle abitazioni il sistema si rivela ideale in casi del tutto particolari. A partire dal possibile impiego in contesti solitamente impossibilitati all’adozione di un normale impianto solare, come i palazzi dislocati nei centri storici. Oppure ove si voglia disporre di un sistema di contabilizzazione bidirezionale dell’energia, ovvero nei condomini.

Immissione in rete o autoconsumo?

Naturalmente, come avviene per il fotovoltaico tradizionale, chi lo installa può decidere tra l’autoconsumo dell’energia prodotta e il cosiddetto scambio sul posto, ovvero l’immissione dell’eccedenza nella rete. Un modus operandi, il secondo, indicato dalla legge che può peraltro essere evitato tramite l’associazione di One Way ad un sistema di accumulo. Di solito, comunque, circa quattro quinti o più dell’energia prodotta sono consumati all’interno dell’abitazione. Se si pensa che un frigorifero da 243 litri ad alta efficienza e un televisore 55 pollici attestano il loro consumo intorno ai 270 kWh nel corso di un anno, si può dire che il microfotovoltaico può coprirne agevolmente le esigenze.

Perché il microfovoltaico può essere una risposta

Quando si parla di emergenza ambientale la prima reazione è quella di additare le grandi imprese e le loro necessità produttive. Non a caso per decenni si è cercato di affidare ai governi mondiali la risoluzione del problema, sotto forma di accordi tesi a ridurre l’emissione di sostanze come la CO2 nell’atmosfera. Una impostazione che però non tiene nel conto altri aspetti, come quello appunto legato ai comportamenti individuali. Si pensi ad esempio all’utilizzo ormai indiscriminato degli impianti di climatizzazione dell’aria, cui si ricorre spesso con troppa facilità.

Un problema che può essere affrontato meglio facendo leva sulle fonti di energia rinnovabili, che però hanno un costo a volte eccessivo per bilanci familiari fragili. Anche se un impianto fotovoltaico costa oggi molto meno rispetto al momento in cui è stata introdotta questa tecnologia, si parla pur sempre di spese ingenti. Il microfotovoltaico può essere appunto una risposta in tal senso, considerato il costo abbastanza ridotto e facilmente ammortizzabile nel tempo. Anche per chi è escluso dalla possibilità di adottare un impianto tradizionale, per questioni di spazio o legate al decoro urbano, la sua installazione non comporta grandi problemi. Proprio per questo nei prossimi anni si potrebbe assistere ad un vero e proprio boom del microfovoltaico.

Alcuni dati estremamente preoccupanti

Tra i comportamenti individuali più errati in assoluto c’è quello teso a pensare che la corrente elettrica consumata all’interno delle nostre abitazioni non sia in fondo un fattore di rilievo ai fini del riscaldamento globale. Si tratta però di un convincimento errato, come dimostra un recente dato secondo il quale soltanto il consumo annuo dei dispositivi elettrici lasciati sempre accesi nelle case dei soli Stati Uniti, anche nella loro fase di inattività, sarebbe tre volte più alto di quello messo in evidenza dal mining, ovvero l’attività di calcolo da cui traggono origine le criptovalute. Preso di per sé tale dato potrebbe non dire molto. Ma se si pensa che secondo uno studio dell’Università delle Hawaii il dispendio di elettricità per il mining entro il 2033 potrebbe condurre ad un innalzamento di due gradi della temperatura globale, assume un’altra veste.