La politica in analisi: “Patria senza padri” di Massimo Recalcati

Un dialogo tra lo psicanalista Massimo Recalcati e Christian Raimo mette a nudo l’inconscio della politica italiana dal ’68 ai nostri giorni

Dei tanti possibili punti di accesso a un testo come Patria senza Padri (Minimum Fax, Roma, 2013) sembra essere il tema della democrazia, quello più adatto ad offrirci delle chiavi di lettura inconsuete, se vogliamo, ma quanto mai necessarie e attuali per comprendere a fondo la politica italiana e le derive che essa continua ad attraversare da vent’anni a questa parte.

La democrazia come condizione di incompiutezza, come legame sociale che mantiene, in un fragile equilibrio, le spinte individuali e individualistiche che devono, comunque, essere tutelate e l’esigenza di far parte di una comunità. Nelle oscillazioni che la democrazia italiana ha subito, e continua a subire, dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni, nelle turbolenze che l’hanno animata nella stagione delle contestazioni e nel bisogno di un capo, di un leader carismatico in cui identificarsi, emerso nell’ultimo ventennio della storia repubblicana, è possibile intravedere, per Recalcati, l’intrinseco legame tra democrazia e totalitarismo che già era stato evidenziato da Freud e che va considerato come un pericolo mai scampato definitivamente.

Se volessimo dare un altro nome a quei capi, a quei leader, potremmo a buon diritto chiamarli padri, padri scellerati certo, perché, in modi differenti, secondo gli specifici casi, eludono quello che è il compito proprio della politica: la capacità di mediare istanze differenti, di garantire un confronto e un dibattito continuo tra voci diverse, ovvero quella pratica di traduzione simbolica (di cui l’ordinamento civile e le Leggi sono le manifestazioni) che anche la psicanalisi è chiamata a favorire, sul piano individuale.

Da queste prime coordinate ben si comprende che cosa sia il fenomeno dell’antipolitica: il rifiuto di ogni funzione simbolica (di mediazione), propria anche della struttura del partito, struttura, peraltro, ancora presente in un fenomeno come quello della Lega Nord, saldamente ancorata a tradizioni e valori mitici. L’antipolitica non è, o almeno non è esclusivamente, il grillismo ma è in primo luogo, e soprattutto, il berlusconismo, un partito dove un capo costruisce mediaticamente il proprio carisma e guadagna consensi grazie a comportamenti estremistici che “manifestano (…) una spinta a godere al di là di ogni limite, la dimensione pulsionale dell’eccesso” che ha come conseguenza il rifiuto del carattere universale della Legge (l’ordine simbolico) a cui è preferita la legge ad personam, una legge che in realtà rifiuta la Legge stessa, per preferire un godimento illimitato.

Più in generale, secondo Recalcati, che richiama qui la lezione di Lacan, la nostra è l’epoca dell’evaporazione del padre o, che è lo stesso, dell’evaporazione della politica intesa in senso alto, come ideale e fine da perseguire, dell’evaporazione della stessa funzione normativa e orientativa che l’ideale riveste. È per questo che si sbriciolano i partiti, come luogo di mediazione e di confronto, è per questo stesso motivo che il padre-papa si sente troppo affaticato per rappresentare la volontà di Dio in terra e decide di dimettersi. È in questo frangente che si apre la prospettiva berlusconiana del godimento illimitato, prospettiva espressa da una domanda di Fabrizio Corona, citato come un maître-à-penser del nostro tempo, quando, interrogato a proposito di Berlusconi, si chiedeva (come d’altra parte hanno fatto milioni di italiani per anni) “cosa dovrebbe fare se non godere il più possibile?”. Ovvero, in altri termini “cosa può giustificare la vita se non il godimento fine a sé stesso?”; perché dire no alla perversione, se non c’è alcun ideale?

Di fronte al fenomeno del berlusconismo, la nostra storia recente vede altre prospettive in campo: da un lato Grillo e il suo movimento che, pur nascendo dall’indignazione per il degrado della politica stessa, è accomunato al berlusconismo per la forte connotazione antipolitica, per il rifiuto delle istituzioni e di quella pratica di traduzione e mediazione che è propria della politica stessa. Rifiuti questi che, dietro una purezza e una trasparenza adolescenziali, che si manifestano nella condanna in toto della politica precedente, nascondono “la presenza antidemocratica di una leadership incondizionata”, un anima bella in grado di emettere giudizi incondizionati e insindacabili perché, irresponsabilmente, si pone al di fuori e al di sopra dell’agone politico ma anche un padre padrone che, invece di gestire le voci discordanti del suo movimento, le soffoca e le reprime.

Rimane poi un’altra alternativa che, pur di natura più teorica, Recalcati non rinuncia a esporre perché ritiene quella più sana. Un’alternativa politica che risponda alla domanda di Corona non affermando, asceticamente, che l’uomo è un essere razionale e sociale ma sostenendo che l’eccesso che abita l’uomo, invece di essere costretto a una deriva dissipativa, come è quella del godimento berlusconiano, può avere un esito “trasformativo” che Recalcati, sempre sulla scia di Lacan, chiama desiderio. Una prospettiva, questa del desiderio, che non si accontenta del mondo per quello che è ma ambisce a cambiarlo e ritrova la propria soddisfazione nell’incontro amoroso e nella costruzione di progetti, in una passione, insomma, che è passione della vita comunitaria.

Un’alternativa che metta in campo anche una giusta dialettica tra padri e figli: in cui i padri sappiano tramontare e lasciare il proprio posto - come fece a suo tempo Prodi ma come hanno faticato a fare i vecchi vertici del PD di fronte all’arrivo di Renzi – e in cui i figli riconoscano il proprio debito e la propria provenienza ovvero una continuità storica con i padri – anche in questo caso un riconoscimento mancato nella pratica della rottamazione messa in atto dallo stesso Renzi che pur si è assunto grandi responsabilità.