Con l’emendamento sul contratto a termine 2018 proposto alla manovra di Bilancio, la durata massima del rapporto lavorativo a tempo determinato passa dai 36 mesi ad un massimo di 24 mesi e il numero di proroghe consentite scende da 5 a 3. Questi i macro punti definiti dalla responsabile Lavoro del Partito Democratico, Chiara Gribaudo.
La proposta del PD non mira a sostituire il Jobs Act, ma solamente a fortificare la tutela dei lavoratori a tempo, incentivando le assunzioni stabili. Se l’obiettivo è garantire un percorso fatto di tutele crescenti, la spinta del Governo deve essere quella di mettere le imprese nella posizione di velocizzare queste conquiste.
Con il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, meglio noto come Jobs Act, il Governo Renzi ha riformulato le disposizioni dei contratti a tempo determinato andando a ufficializzare i seguenti punti:
Nell’emendamento sul contratto a termine 2018, i precedenti punti del Jobs Act vengono così riformulati:
Tra le disposizioni del nuovo contratto a termine 2018 resta il principio di acasualità introdotto dal Jobs Act: un’azienda è libera di poter stipulare un contratto precario senza dover dare motivazioni di carattere organizzativo o produttivo.
Anche le disposizioni sui "periodi cuscinetto" restano invariate. Il periodo "stop and go", rappresenta lo stacco temporale tra la fine di un contratto a tempo ed il relativo rinnovo e nello specifico corrisponde a 10 giorni per i contratti inferiori ai 6 mesi, 20 giorni per i contratti oltre i sei mesi. Ovviamente si parla della durata del primo contratto stipulato.
L’emendamento lavoro proposto dal Partito Democratico per la legge di Bilancio 2018 nasce con l’obiettivo di ridurre i tempi di somministrazione dei contratti a tempo determinato così da velocizzare le assunzioni stabili in vista anche si una serie di ulteriori incentivi che verrebbero previsti. Questo è in linea di principio il risultato che si vuole raggiungere.
Da parte di Confindustria sono arrivate le prime aspre critiche alla proposta dei Democratici. Il nuovo Contratto a termine 2018 potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: invece di incrementare le assunzioni stabili potrebbe generare l’effetto opposto, inducendo ad un aumento dei licenziamenti per i lavoratori a ridosso del 24esimo mese di contratto.
A dare man forte alle previsioni esposte da Confindustria sull’inutilità dell’emendamento, ci sono i dati Istat che hanno registrato nell’ultimo trimestre rilevato, un ulteriore incremento dei contratti a tempo, ma in questo fine 2017 i contratti a tempo indeterminato stipulati hanno raggiunto i minimi storici, rendendo fallace l’obiettivo primario del Jobs Act di combattere il precariato a suon di stabilità.
L’emendamento relativo al Contratto a termine 2018 potrebbe comportare semplicemente un aumento del ricambio forza lavoro con ulteriore instabilità per un mercato lavorativo giù di per sé altalenante.