Ereditare una casa popolare è possibile? Ecco le regole

Case popolari e morte dell’assegnatario, quando passa ai figli?

Per casa popolare si intende l’abitazione la cui proprietà appartiene ad enti statali e comunali e che viene assegnata a persone che hanno un reddito basso, che non hanno un lavoro o che hanno condizioni di disagio fisico, familiare o reddituale. Si tratta di abitazioni di edilizia residenziale pubblica, la cui proprietà resta statale (o degli enti da cui sono gestite) e per le quali l’assegnatario paga un canone mensile, una specie di affitto, che varia in base alla situazione di disagio in cui versa.

Molte sono le famiglie che hanno la residenza in una di queste abitazioni. Ma se muore l’intestatario dell’abitazione, cioè la persona a cui è stata assegnata, la casa torna all’ente o può passare agli eredi del defunto? Una domanda comune a molti e che necessita di un approfondimento.

Casa popolare, in caso di morte chi subentra nell’assegnazione dell’alloggio?

L’assegnazione di una casa di edilizia pubblica residenziale è personale, cioè è fatta ad un singolo richiedente che presenta domanda per entrare in graduatoria.
La richiesta delle case popolari deve essere effettuata presso il proprio comune di residenza che a periodi alterni riapre la possibilità di fare domanda per entrare nella graduatoria di assegnazione.

Sarà lo stesso comune a stilare i principi con cui approntare la graduatoria, perché ogni ente può adottare regole e normative diverse. In linea di massima l’assegnazione delle case popolari viene fatta scorrendo la graduatoria con i richiedenti classificati per redditi, composizione numerica del nucleo familiare, presenza di figli piccoli, situazioni di disabilità e così via.

Come dicevamo però, la casa viene assegnata ad una famiglia, ma resta di proprietà dell’ente. Cosa succede a una casa popolare nel momento in cui l’assegnatario muore? La risposta a questa domanda non ha una soluzione unica perché ogni singola assegnazione può nascondere dietro particolari situazioni di disagio e normative locali differenti.

Spesso sono i Tribunali che vengono chiamati a sentenziare per risolvere contenziosi tra gli eredi di un assegnatario di casa popolare deceduto. In linea di massima possiamo dire che con il decesso di un titolare dell’assegnazione di una casa popolare, questa torna in piena disponibilità dell’ente.

Inevitabilmente con la morte dell’assegnatario, si verifica la cessazione dell’assegnazione e l’alloggio torna nella disponibilità dell’ente. Per ottenere la locazione dal Comune è necessario rispettare i requisiti fissati nel provvedimento dell’ente locale, con la inevitabile conseguenza che gli eredi non hanno la possibilità di ereditare la casa popolare in cui hanno vissuto insieme al genitore.

Ma il Comune, dall’alto del suo potere di decisione, potrà scegliere volta per volta se assegnare la casa agli eredi, magari aggiungendo a loro nome titoli preferenziali atti a scavalcare le graduatorie.

Casa popolare di un defunto, cosa accade?

Non esiste normativa che preveda subentro automatico nell’assegnazione di un alloggio popolare a figli o eredi di un assegnatario defunto. Solo il Comune sede dell’immobile può decidere di assegnare l’alloggio agli eredi, sempre che questi risultino conviventi con il defunto alla data di morte di quest’ultimo.

Restano però centrali alcuni requisiti da detenere per poter subentrare in questa particolare tipologia di assegnazione. Tra questi occorre non avere altri immobili intestati o dove poter vivere. Un fattore determinante questo, perché se il defunto, dal momento che era assegnatario dell’alloggio, evidentemente non aveva altri titoli di proprietà su case e simili, tale requisito in linea di massima non andava rispettato dai conviventi.

In pratica, una casa popolare sede della residenza di una famiglia, viene assegnata se il richiedente l’alloggio non ha altri immobili intestati. Ma se un altro immobile lo ha il figlio, che comunque vive nella casa popolare del genitore, non fa perdere il diritto all’assegnazione del genitore, ma sarà fattore determinante per il rigetto di una eventuale richiesta di subentro del figlio stesso.